La storia della Mala in 719 pagine. Spuntano le lettere del boss all’ispettore di polizia
VENEZIA — «Pur di evitare a Marta due o tre giorni di carcere ho accettato di collaborare con lei (ispettore, ndr)…». La lettera è del febbraio 1995 e a scriverla è lui, il boss: Felice Maniero. Aveva da poco iniziato a «cantare», a fare nomi e cognomi dei complici dell’organizzazione, a mettere nero su bianco vent’anni di attività criminale, centinaia di rapine, bische, sequestri, omicidi, traffici illeciti. E mentre parlava riempiendo pagine e pagine di verbali scottanti, che avrebbero portato all’arresto di centinaia di uomini della Mala del Brenta, prendeva carta e penna per ricordare alla sua bestia nera, l’ispettore Francesco Zonno della Criminalpol del Tiveneto, ora questore di Trieste, com’è iniziata la sua travolgente collaborazione. Emerge dalle 719 pagine di motivazioni della sentenza che nello scorso dicembre ha condannato 41 imputati a 540 anni di carcere complessivi mettendo così la parola fine ai processi sulla Mala del Brenta, basati essenzialmente sulla collaborazione di Faccia d’Angelo. Nella sentenza spuntano i retroscena della confessione fiume, compresa la lettera a Zonno che un po’ inquadra il carattere di un boss tanto spietato e calcolatore nel crimine quanto impulsivo e per certi versi romantico con le sue donne: la madre Lucia (chiamò Lucy lo yacht della latitanza), la figlia Elena (morta suicida) e appunto Marta Bisello, la sua compagna. Marta era con lui il giorno dell’arresto a Torino e rischiò le manette per favoreggiamento. L’impulso a collaborare, e dunque a smantellare un’organizzazione di centinaia di uomini, fu quello: salvare Marta.
Il calcolo del boss E questa e altre lettere, come quella di lamentele per il mancato rispetto «delle promesse fattemi dal dotto Fojadelli (l’ex pm di Venezia Antonio Fojadelli, ora procuratore di Treviso)», sono state oggetto di contestazioni da parte di alcuni avvocati che avevano puntato il dito su una «collaborazione poco attendibile e condizionata». Il tribunale: «In questo processo non ci si deve occupare della eventuale trattativa che ha condotto alla collaborazion di Maniero, né del fatto che questa abbia eventualmente procurato a lui, ai suoi parenti o alla sua convivente vantaggi non previsti dalla legge… ma della credibilità intrinseca che invece è stata dimostrata… Al di là di supposizioni ed illazioni di vario genere, la realtà è molto semplice: Felice Maniero quando ha deciso di collaborare ha fatto i suoi calcoli,… si è poi rivolto al cugino Giulio, convincendolo alla collaborazione, visto che la scelta conveniva a entrambi… Sia Felice che Giulio hanno dunque intrapreso questa strada per un mero calcolo di opportunità pratica… entrambi hanno fornito da subito agli inquirenti il loro cospicuo patrimonio conoscitivo, riferendo crimini commessi e chiamando solo conseguentemente in causa i loro associati…». Insomma, secondo i giudici la collaborazione ha seguito poi i binari di un freddo calcolo di Faccia d’Angelo e di suo cugino Giulio.
Cinque gruppi Il tribunale ha ricostruito la genesi della Mala del Brenta, la quale «nasce come semplice «batteria» che compie reati avendo come unica scelta quella delinquenziale». L’arricchimento, l’accumulo e nient’altro. «Grazie alla esecuzione di rapine clamorose, il gruppo acquista una sua stabilità organizzativa e strutturale… L’associazione, venuta a contatto con personaggi di spicco della camorra e della mafia, mutuando da queste forme e strutture, si è poi evoluta in mafiosa». E lì il centro dell’attività criminale si sposta: dalle rapine alla droga e al gioco d’azzardo. Si formano cinque gruppi: «Soggetti cui sono devoluti solo compiti di fiancheggiamento o logistici, di supporto, e che vengono solo «stipendiati» ; soggetti operanti nell’ambito dell’associazione mafiosa; soggetti operanti solo nello spaccio; soggetti che pur operando autonomamente agiscono al fine di agevolare l’associazione; e soggetti che vengono utilizzati per singoli episodi criminosi ». Fra gli stipendiati anche il maresciallo dei carabinieri del Ros di Padova, Angelo Paron, e il vice ispettore di Polizia della Mobile di Venezia, Antonio Papa, «i quali provvedevano a elargire, dietro compenso, informazioni riservate relative alle indagini svolte dagli inquirenti sulle attività illecite dell’associazione ».
I siciliani Il rapporto con i mafiosi siciliani risale alla fine degli anni Settanta «quando Maniero entrò in contatto con il boss milanese del clan dei Turatello, Dagnolo, che a sua volta gli aveva presentato Gaetano Fidanzati e Salvatore Enea, due mafiosi siciliani. Lo scopo perseguito in quel periodo era estendere il controllo sul gioco d’azzardo a tutto il territorio del Veneto. Obiettivo raggiunto tramite l’aiuto dei siciliani, tanto che Maniero esercitava la propria influenza su tutte le case da gioco della Regione, percependone il 50% degli utili, quota che veniva divisa con Andreoli, Dagnolo e i siciliani. Il giro d’affari ammontava a qualche centinaio di milioni all’anno e i proventi venivano ripartiti ogni 10-15 giorni».
Danneggiata Venezia La Mala del Brenta ha colpito prevalentemente fra Venezia e Padova. «Gli omicidi sono stati perlopiù consumati in provincia di Venezia (danno d’immagine)…». Per questo motivo «appare equo liquidare alla Provincia 50 mila euro ». Tutto sommato a Faccia d’Angelo è convenuto.
11 maggio 2009
Fonte: Il Corriere del Veneto
Io credo che la normativa dei pentiti sia un pilastro della lotta alla criminalità, specie quella organizzata (leggi mafie). E penso che il pentito vada giudicato in base a criteri funzionali, non etici. Ciò che conta non è il suo ravvedimento morale, ma il contributo che può dare alle indagini. Lo Stato non è la Chiesa.
@ Massimo…giusto, lo Stato non è la Chiesa, ma è davvero giusto??…ti invito a leggere il post che pubblicheremo tra poco…
Caro Massimo, in linea di massima, come concetto, il pentito serve sicuramente. E soprattutto in questi casi. Ma la storia di Maniero è molto più complessa di quanto sembri. E’ un caso che definirei ben insabbiato per anni. Si è voluto far credere che si è detto tutto, per dire poco o niente. Facciamo finta che sia un film: il protagonista è uno dei peggiori criminali dell’epoca con segreti sui rapporti con politici, massoneria e servizi segreti. Quando capisce che il suo sistema si sgretola decide, tramite i suoi contatti con i mondi citati prima, di stringere un patto con gli stessi. Il patto implica la sua confessione e il fatto di vendere i suoi sodali, senza parlare dei suoi rapporti “segreti”, in cambio di un trattamento oltremodo generoso ( il suo tesoretto non è stato toccato, è passato in primis per sua madre e a prestanomi vari, ancora operanti in Veneto). Tutto viene concordato…dalla cattura al processo iniziato ben 14 anni dopo la cattura, in mano a una Pm che non ha mai trattato questo…il tutto ovviamente sottotraccia. Perchè se si vanno a cercare i giornali del 2008 sul processo Rialto si trovano trafiletti. Tutto è stato sottotraccia. Per tutta la durata dell’accordo. Questo non è pentitismo..questo è insabbiare finemente dando in pasto all’opinione pubblica una verità parziale, a volte di comodo…potrei dire altre cento cose ma penso basti. Cmq fino a prova contraria hai ragione te, ma come per tanti altri la prova contraria in Italia non ci sarà mai